Qualche giorno fa ho pubblicato una foto del negozio di pollami e cacciagione di Felice Lorenzoni a via in Arcione, il giorno stesso sono stato contattato dalle tre nipoti del Sig. Felice: Letizia, Elisa e Arianna. Ora oltre a regalarci altre bellissime foto tra il 1953 e il 1957 del negozio del nonno, mi hanno mandato dei ricordi ed una poesia del figlio Bruno. Buona lettura.
Appunti e ricordi
Il ricordo del negozio di papà mi riporta indietro con la memoria alla prima metà degli anni 60, quando avevo cinque o sei anni e nel primo pomeriggio con lui e mia madre raggiungevamo in macchina, papà possedeva una Fiat 1100 familiare di color celeste acceso, la bellissima Villa Borghese. All’epoca allo scarso traffico automobilistico era consentito l’accesso anche all’interno del parco. Ci lasciava per andare ad aprire il negozio di Via in Arcione e noi, dopo una sosta per nutrire gli enormi pesci rossi e le anatre del Giardino del Lago con del pane secco, passeggiavamo fino al negozio in centro.
L’attività commerciale di mio padre era ben avviata, era specializzato nella vendita di cacciagione, abbacchi e polli ma vendeva anche funghi coltivati e porcini, asparagi e pregiati, profumatissimi, tartufi di Alba.
Possedeva un’ottima clientela, forniva addirittura “Casa Reale” come lui chiamava il vicinissimo Palazzo del Quirinale, ristoranti, famiglie nobiliari e semplici cittadini.
All’epoca, aprì subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, il suo era un negozio molto moderno ed innovativo. Fu uno dei primi ad adottare l’uso prima sconosciuto d’un enorme cella frigorifera ricavata nell’ampio sotterraneo per conservare la merce, le pareti ed i banconi erano rivestiti in marmo e coperti da lastre di marmo alte 12 cm. Macellai e negozianti venivano da ogni parte di Roma per guardare il suo negozio e prendere spunto per i loro punti vendita. Conobbe anche un minimo di popolarità sia sulla stampa nazionale che estera e fu fotografato da giornalisti e reporters attirando l’attenzione con le mostre che allestiva fuori al negozio per le festività, soprattutto quelle natalizie che all’epoca erano molto sentite…
Diverse volte, tramite asta con offerta a busta chiusa, vinse anche la gara d’appalto per l’acquisto della cacciagione proveniente dalla battuta di caccia che, una volta l’anno, si teneva nella Tenuta Presidenziale di Castelporziano. Ricordo chiaramente grandi cervi dagli enormi palchi ramificati, daini, giganteschi cinghiali pelosi e lepri che egli commerciava, assieme a ogni tipo di volatili: fagiani, germani, beccacce, coturnici, tordi ecc. Una volta trattò persino una partita di tartarughe di terra, in un epoca in cui erano molto comuni e non godevano di nessun regime di protezione. I monaci dei conventi le mangiavano nell’osservanza dei giorni di magro.
La vista di tutti quegli animali appesi non appartiene più al nostro tempo e oggi può giustamente urtare la sensibilità comune verso gli animali per diversi motivi, non posso che dissociarmene prendendone le distanze.
Comunque mio padre non era un cacciatore, era totalmente incapace di uccidere e persino l’agnellino vivo che teneva nel negozio a Pasqua nutrendolo con un biberon, dopo la festività veniva risparmiato e regalato ad un pastore di fiducia con l’impegno che fosse allevato nel gregge e non abbattuto. Sorte ancora migliore ricevevano le colombe bianche che dopo la Pasqua liberava nella via davanti al negozio, in un gesto istintivo di gratitudine alla natura ed allo Spirito che sempre sopravvivono rinnovandosi.
Io stesso oggi, contrario alla caccia, ecologista ed animalista, vegetariano per parecchi anni, considero molto forti quelle immagini e difficili da digerire, ma non rinnego mio padre per la sua attività d’altri tempi, né la sua figura allegra, dolce e semplice con tutti, molto amante della natura, della bellezza e della famiglia.
A lui rivolgo il mio pensiero con grande amore, rispetto e gratitudine. Con grande amore, rispetto e gratitudine rivolgo il pensiero a quel mondo da cui comunque proveniamo, che pure con i difetti e le imperfezioni degli uomini, ci ha comunque generato e cresciuto con amore, permettendoci di essere quel che oggi siamo…
Paradossalmente l’attività di mio padre conobbe il suo declino in pieno boom economico, verso la seconda metà degli anni ’60. Il quartiere iniziò a svuotarsi a causa delle ristrutturazioni edilizie dei suoi antichi palazzi e la gente andò via senza farvi più ritorno trasferendosi nei nuovi quartieri che andavano spuntando come funghi. I gusti cambiarono e la zona, a due passi da Fontana di Trevi, da quartiere popolare e popolato, iniziò a riempirsi di uffici, appartamenti di lusso e negozi per turisti.
La storia del fallimento a cui andò incontro (fallì preferendo comunque pagare tutti i suoi debiti, anziché mettersi i soldi in tasca come era consuetudine di molti commercianti) fu segnata anche dal notevole impegno economico che egli dovette sostenere per tenermi in vita. Infatti, essendo nato con gravi malformazioni al cuore, dovetti subire cure ed interventi molto costosi che, assieme alle altre ragioni menzionate, lo ridussero sul lastrico.
Oggi per me è molto triste vedere Via in Arcione piena di orde di turisti mordi e fuggi, borseggiatori, pizzerie, gelaterie, ristoranti con i loro tavoli invadenti e l’imbonitore sulla porta, o negozi di souvenir di plastica stampata da un euro fatti in Cina e t-shirts…..
Via in Arcione
Vojo aricordammela senza tutti li turisti,
come era quanno ero ‘n pupetto,
co ‘n fonno alla via su ‘a piazzetta der mercato,
er vecchietto der cocommero l’estate
co le fette ner ghiaccio sur caretto.
Quanno sotto ar cielo schietto
cantanno s’enseguiveno i rondoni
e papà co la vecchia giardinetta
ridenno come un matto, cor finestrino aperto passannoie davanti
forte per scherzo je strillava:
“Taja ch’è rossoooo !!!”
e quello ‘na risata arigalava….
In ricordo di mio padre Felice Lorenzoni e della vecchia Roma che amo.
Bruno Lorenzoni 27/08/17